La Commedia «dell'arte» si chiamò così,
perché i suoi attori, per la prima volta dopo un millennio e più, erano attori
«di mestiere». Nel Medioevo e oltre, salvo i rari isolati istrioni, il dramma
sacro aveva avuto per attori i chierici, i membri di corporazioni, artigiane, i
giovanetti di apposite compagnie religiose o volontari studenti, accademici,
dilettanti di varie provenienze. Invece i comici dell'arte, costituiti in
regolari compagnie, recitarono per tutto l'anno a fine di lucro ed erano veri e
propri professionisti, metodicamente addestrati al loro ufficio. Erano dicitori
e declamatori, mimi, acrobati e giocolieri, cantori, musici, ballerini; nei
casi migliori, avevano anche una preparazione culturale. Quale fu la scoperta
essenziale dei comici dell'arte? Che il pubblico, a teatro, veniva attratto non
tanto dall'autore, quanto dall'attore. Pertanto, di un testo scritto, ciò che
in teatro importava era lo scheletro, l'intrigo: ossia quella tal variazione
che, lasciandola allo sviluppo degli interpreti, l'autore affidava a un
piccolissimo numero di personaggi, sempre gli stessi. Questi personaggi erano le «maschere». Le
primissime compagnie «dell'arte», costituitesi in Italia circa alla metà del
Cinquecento, e presto ricercate all'estero, si componevano di non più di dieci
o dodici attori, avendo ridotto a tal numero i personaggi dell'antica Commedia:
ed erano finalmente composte da uomini e donne. Erano i due «vecchi»:
Pantalone, il borbottone gretto, avaro, non di rado libidinoso, e sempre
beffato; e il Dottore, caricatura del bestione pedante. Erano gli Innamorati,
in genere non una ma più coppie ad intreccio multiplo: giovani e belli e che
perciò recitavano senza maschera. Erano i due «zanni» o buffoni biancovestiti,
di solito servi: Brighella servo furbo e imbroglione e Arlecchino, servo
poltrone. C'erano inoltre le servette, Corallina, Colombina, Smeraldina,
Ricciolina eccetera, destinate a contrapporre, i loro sfrontati amori, le
coppie degli innamorati ridicoli alle coppie degli innamorati nobili. C'era il
millantatore e spaccone, Capitan Spaventa, altro erede di tipi antichissimi che
risalgono alle origini arcaiche della rappresentazione comica. Nel tempo, la
schiera dei personaggi, soprattutto secondari, aumentò, si complicò: tuttavia
l'ossatura della compagnia «dell'arte» attraverso quasi tre secoli di vita
rimase essenzialmente identica; e le sue principali maschere, pure passando dai
più violenti e truci toni originari a motivi d'una maggiore raffinatezza, rimasero
sempre le stesse. I comici italiani
dell'arte non solo avevano una personale bravura tecnica, ma «improvvisavano». Ogni
attore aveva il suo zibaldone col suo bravo repertorio di lazzi, giochi
scenici, motti, tirate, «pistolotti», «concetti», disperazioni, maledizioni,
soliloqui, «spropositi», entrate e uscite, «chiusette» addirittura in versi,
ecc. Questi repertori mandati a memoria, servivano all'occasione giusta. Quindi
non un testo tutto scritto bensì uno schema, uno «scenario» sviluppato via via dagli attori improvvisatori la cui grande abilità
consisteva appunto nel cogliere, da una circostanza anche improvvisa, il motto
adeguato.
Alunna:
Esposito Denise II B
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La MUSICA e la Commedia dell'Arte
La Commedia dell'Arte è fiorita spesso di danze e di canzoni. In ogni
compagnia c'era qualcuno e qualcuna che sapesse cantare: se non era
addirittura la prima donna. Uno Scapino famoso, il Gabrielli, recitava
uno scenario scritto apposta per lui, Gli strumenti di Scapino, in cui
via via suonava il violino, la viola, il contrabasso, la chitarra, il
trombone, il mandolino, la tiorba, il liuto e altri strumenti ancora.
Altri comici erano famosi nell'imitare strumenti musicali; oppure nelle
canzonette onomatopeiche, dove si rifacevano le voci degli animali.
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