Arlecchino
Arlecchino
è una maschera bergamasca della Commedia dell'Arte. Le origini del nome sono
incerte e su di essa sono state formulate varie ipotesi. Tra i possibili punti
di riferimento vi sono gli Herlequins o Hellequins, diavoli-buffoni del teatro
medievale francese o addirittura anche il diavolo dantesco Alichino.
L'introduzione in Italia del personaggio pare sia dovuta ad Alberto Naselli,
noto come Zan Ganassa, il quale lavorando in Francia e in Spagna in qualità di
Zanni (tipo di servo ridicolo) vi raccolse la tradizione del diavolo-buffone e
la fuse con la tradizione italiana dell'uomo selvatico. Il personaggio di
Arlecchino è quello del servo sciocco, linguacciuto, imbroglione che ha sempre
fame. In mano ha un bastone di legno, il “batocio” che un tempo veniva
utilizzato per girare la polenta e per condurre le mandrie al pascolo, che gli
serve per darle e prenderle nelle liti in cui si imbatte. È una maschera
brillante e simpatica, si esprime con una voce stridula e canticchia invece di
parlare. La sua è una parlata veneta, non priva di influenze del contado
bergamasco, ricca di giochi mimici e acrobatici e con movenze quasi da balletto.
Caratterizzano esteriormente la sua figura l'abito a toppe multicolori, la
maschera di cuoio dall'espressione ghignante e la spatola. Tutti questi
elementi hanno concorso a fare di Arlecchino la più popolare e durevole delle
maschere, ispiratrice, dopo la grande fioritura della Commedia dell'Arte, di
scrittori come Goldoni (Arlecchino servitore di due padroni, ecc.) e Marivaux.
La tradizione interpretativa del personaggio di Arlecchino si illustra, lungo i
sec. XVII e XVIII, dei nomi di Tristano Martinelli e Domenico Biancolelli,
Angelo Costantini ed Evaristo Gherardi, Carlo Bertinazzi e Antonio Sacco. Se il
contatto con la civiltà francese spinse il Biancolelli a rendere più aggraziata
la stilizzazione del personaggio, il Gherardi mirò invece a fare di Arlecchino
il portavoce delle preoccupazioni sociali che si andavano diffondendo. La
tradizione arlecchinesca è stata prolungata fino al sec. XX da attori come
l'esemplare Marcello Moretti, che fu attivo al Piccolo Teatro di Milano (del
suo Arlecchino rimane testimonianza filmata). Ispiratore anche di poeti e
musicisti, Arlecchino, quale maschera per eccellenza, ha stimolato la fantasia
di grandi pittori, da Watteau a Picasso e Severini.
Curiosità
Un tempo il
costume di Arlecchino era completamente bianco, come quello di Pulcinella. Poi
a furia di rattoppi – Arlecchino è così povero da non avere stoffe di ugual
colore – si trasforma nel variopinto costume che tutti oggi noi conosciamo, dai
colori vivaci e brillanti.
Alunni: Corrado Giovanni, D’Auria Vincenzo, De Luca
Antonio II B
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Pantalóne
Maschera
veneziana fra le più antiche della Commedia dell'Arte, testimoniata fin dalla
metà del Cinquecento. Il cognome esprime uno dei lati del carattere della
maschera: la dipendenza dal danaro, che si manifesta sotto forma di avarizia o
più raramente di prodigalità, di ricchezza, o, a volte, di povertà. Inoltre il
vecchio mercante Pantalone è pedante e conservatore, dispotico, ancora pieno di
sterili slanci amorosi: è soprattutto un vecchio cadente che vuole simulare la
gioventù. La sua comicità deriva proprio dal contrasto fra l'età avanzata e gli
inesprimibili aneliti giovanili. Il
denaro e le ricchezze sono le sue uniche preoccupazioni, che lo rendono
sospettoso nei confronti di tutto e di tutti. Come tutti gli avari piange
sempre miseria e fa patire la fame ai suoi servi. Non esita ad intromettersi in
dispute e litigi che non lo riguardano, sputa sentenze per far sfoggio della
sua autorevolezza e finisce puntualmente con l’avere la peggio. Alcune volte è
rappresentato scapolo, altre con moglie e figlia, la bella Rosaura, al cui
servizio c’è la scaltra servetta Colombina. Indossa calzamaglia e blusa rosse,
con un mantello scuro e una maschera nera dal naso adunco, tutt’uno con il
cappellino floscio e rosso. Un corto spadino e la borsa contenente i denari (la
“scarsela”) completano il suo abbigliamento. Sulle origini del suo nome si
avanzano diverse ipotesi: potrebbe derivare da San Pantaleone, il Santo Patrono
di Venezia, oppure da “pianta-leone”, che era l’atto con cui i soldati e i
ricchi mercanti veneti “piantavano” lo stendardo della Serenissima in ogni
territorio conquistato. Con il Goldoni la figura di Pantalone si umanizza, gli
eccessi del carattere sono attenuati e spesso il suo danaro può rimediare alle
intemperanze dei giovani.Il primo Pantalone fu Giulio Pasquati (sec. XVI-XVII),
cui seguirono, in Italia e in Francia, altri importanti interpreti, fra cui
Ricci, Braga (sec. XVII), D'Arbes (sec. XVIII) e, in tempi moderni, Cesco
Baseggio.
Curiosità
Sembra
che i pantaloni, che indossiamo attualmente, si chiamino così dal nome di
questa maschera.
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Brighella
Brighella
è una maschera popolare bergamasca della Commedia dell'arte. Deve il suo nome
al suo carattere attaccabrighe, insolente e dispettoso. È il migliore amico di
Arlecchino: entrambi sono i servi della Commedia dell'arte ed entrambi sono
nati a Bergamo. Al contrario dell'amico, tuttavia, Brighella non fa solo il
servo ma un'infinità di altri mestieri più o meno leciti, per cui si ritrova
sempre in mezzo a svariati intrighi. Viene raffigurato con giacca e pantaloni
decorati con galloni verdi; ha inoltre scarpe verdi con pon pon neri. Il
mantello è bianco con due strisce verdi mentre la maschera e il cappello sono
neri. La più antica notizia storica della maschera è il testamento di Sivello
del 1601, che assegnò questo nome ad un villano bergamasco. Intorno alla metà
del XVII secolo la fama di Brighella fu documentata anche in Francia; nello
stesso periodo venne messa a punto la tenuta di Brighella, parodiante quella di
un maggiordomo, mentre il suo carattere venne definito in modo chiaro da Carlo
Goldoni. Con la diffusione del nome anche il ruolo della maschera si espanse
fino ad assumere parti di protagonista. Oltre alle definizioni impartite da
Goldoni, si ricordano le antologie di atti scherzosi e buffi brighelleschi
ideati da Atanasio Zannoni alla fine del Settecento.
Alunno: Giuliano
Donato II B
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Capitan Spaventa
Capitan
Spaventa di Vall'Inferna è la maschera
ligure della Commedia dell'arte creata dall'attore Francesco Andreini
(1548-1624). Arroganza, smargiasseria e goffaggine lo rendono un personaggio
molto buffo, le sue caratteristiche volevano ironizzare sugli ufficiali
militari di quel tempo. Sebbene vanti tantissime avventure in battaglia, è
molto più temerario con la lingua che con la spada. Capitan Spaventa
rappresenta la caricatura del soldato di ventura, fifone, sbruffone e spaccone.
Vuole a tutti i costi averla vinta e fare fortuna, ma alla fine viene deriso e
conclude ogni sua avventura a suon di botte. Racconta storie incredibili, a cui
crede solo lui, e nei fatti finisce per scontrasi con la sua stessa natura di
vigliacco. Ha un aspetto piacevole, baffoni e pizzetto e i colori del suo
costume sono il giallo e il rosso-arancio (qualche volta a righe). In testa
calza un grande cappello piumato. Sua compagna fedele è una pesante e grossa
spada che trascina rumorosamente e in modo impacciato, che tuttavia utilizza
poco: combatte di più con la lingua.
Alunno: Ferrante Aniello II B
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BALANZONE
Balanzone, conosciuto anche con il nome di dottor Balanzone, è una maschera di origine bolognese. Appartiene
alla schiera dei "vecchi" della Commedia dell’arte, talvolta è chiamato
dottor Graziano o semplicemente il Dottore. Nativo dell'Emilia Romagna, e precisamente
di Bologna, dove ha compiuto gli studi, è il classico personaggio "serio",
saccente e presuntuoso che si lascia andare spesso a verbosi discorsi infarciti
di citazioni colte in latino maccheronico. Si tratta di un dottore
in Legge, e non di un medico, come molti erroneamente credono: egli è infatti
la caricatura del dotto pieno di sé, avvocato poco abile, sempre pronto a
sfoggiare la sua erudizione citando cervellotici cavilli legali. Il suo stesso
nome lo dimostra, infatti Balanzone è la storpiatura dialettale di bilancione,
bilancia, ossia l'ovvio simbolo della Legge Uomo dalle guance di colorito sano,
veste sempre di nero ed ha una grossa pancia; è solito gesticolare molto, ma i
suoi gesti sono sempre pacchianamente autorevoli ed eloquenti. Calza una
piccola maschera che ricopre solo le
sopracciglia e il naso, appoggiandosi su due grandi baffi. Indossa l'abito dei
Professori dell'Università di Bologna: toga nera, colletto e polsini bianchi, gran cappello, giubba e
mantello. Pedante, cavilloso, prodigo di inutili insegnamenti e di consigli inappropriati,
è sempre pronto a trovare ogni minima scusa per iniziare uno dei suoi infiniti
sproloqui "dotti" a suon di parole storpiate e discorsi ampollosi ma
senza senso. Sempre pronto a vantarsi dei suoi titoli, dice di conoscere ogni
campo della scienza umana: diritto e legge prima di tutto, ma anche storia, astrologia, filosofia; di questi argomenti
parla in maniera noiosa e prolissa, mescolandoli in un groviglio inestricabile.
Gode di molta stima tra le altre maschere che spesso si rivolgono a
lui per un parere legale: egli non nega il suo aiuto ma sempre coglie
l'occasione per fare la cosa che più gli piace: parlare ed elargire pareri di
nessun valore.
Alunna: Mascolo Tonia II B
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Colombina
Direttamente
dalla tradizione veneziana nasce la maschera di Colombina, unico personaggio
femminile ad imporsi in mezzo a tanti personaggi maschili.
Briosa e furba servetta, vivace, graziosa, bugiarda ed è di Venezia. E’ molto affezionata alla sua signora, altrettanto giovane e graziosa, Rosaura, e pur di renderla felice è disposta a combinare imbrogli su imbrogli. Con i padroni vecchi e brontoloni va poco d’ accordo e schiaffeggia senza misericordia chi osa importunarla mancandole di rispetto.
Colombina è una maschera molto antica, la sua figura era già menzionata nel 1530 nei testi degli Accademici Intronati di Siena. La maschera di Colombina si trova già nelle commedie di Plauto, fra le furbe ancelle, ciniche e adulatrici, sempre pronte a suggerire alla padrona malizie e astuzie. Da antica schiava Colombina nel ‘500 diventa la Servetta complice interessata nei sotterfugi domestici e amorosi della padrona.
Il costume di Colombina si presenta con innumerevoli varianti: abitualmente non porta la maschera e indossa un corpetto aderente e un’ampia gonna a balze blu. La sua giacca rossa è orlata da una passamaneria dello stesso colore della gonna e il suo grembiulino, provvisto di tasche in cui infilare i messaggi d’amore, è di un candido bianco. Sul capo porta una «crestina», il fazzolettino tipico della cameriere, fermato da un nastro. Le scarpette nere semplici ma graziose hanno tacco basso e sulla fibbia c’è un fiocchetto azzurro. Colombina impersona il tipo comico della servetta graziosa. E’ seducente, astuta, vivacissima ed è l’immagine perfettamente speculare femminile di Arlecchino. Per questo è sempre l’Amorosa o la moglie di Arlecchino, assumendo il nome di Betta, Franceschina, Diamantina, Marinetta, Violetta, Corallina o anche Arlecchina. Nelle rappresentazioni è spesso oggetto di attenzioni da parte del padrone Pantalone, che provoca la gelosia in Arlecchino. Colombina è molto vanitosa e un po’ civettuola e ci tiene ad avere un aspetto sempre ordinato e attraente. Non ha peli sulla lingua e riesce a mettere a posto qualche corteggiatore che non si comporta più che educatamente. Anche il suo eterno fidanzato, Arlecchino, deve stare ben attento, se cerca di fare lo sdolcinato con qualche altra sua collega, perché lei sa come farlo rigare dritto.
Il suo modo di fare, così vivace e malizioso, nasconde un carattere volitivo e una naturale furbizia che fanno di Colombina un personaggio simpaticamente sbarazzino, molto amato dal pubblico. Colombina, naturalmente bugiarda, usa sempre la menzogna a fin di bene per coprire gli amori della sua padrona, continuamente ostacolata da un padre burbero e severo. Maestra nel nascondere un biglietto d’amore sotto il grembiule o nel petto, mostra la sua più grande abilità ogni qualvolta deve consegnare queste missive nelle mani della padrona senza che se ne accorga un amoroso non gradito od il genitore sospettoso. È una donna intelligente che si rende conto di vivere in una società fatta a misura di uomo dove, per sopravvivere, deve usare furbizia e sensibilità. Forse è anche per questo che ci risulta così simpatica.
Briosa e furba servetta, vivace, graziosa, bugiarda ed è di Venezia. E’ molto affezionata alla sua signora, altrettanto giovane e graziosa, Rosaura, e pur di renderla felice è disposta a combinare imbrogli su imbrogli. Con i padroni vecchi e brontoloni va poco d’ accordo e schiaffeggia senza misericordia chi osa importunarla mancandole di rispetto.
Colombina è una maschera molto antica, la sua figura era già menzionata nel 1530 nei testi degli Accademici Intronati di Siena. La maschera di Colombina si trova già nelle commedie di Plauto, fra le furbe ancelle, ciniche e adulatrici, sempre pronte a suggerire alla padrona malizie e astuzie. Da antica schiava Colombina nel ‘500 diventa la Servetta complice interessata nei sotterfugi domestici e amorosi della padrona.
Il costume di Colombina si presenta con innumerevoli varianti: abitualmente non porta la maschera e indossa un corpetto aderente e un’ampia gonna a balze blu. La sua giacca rossa è orlata da una passamaneria dello stesso colore della gonna e il suo grembiulino, provvisto di tasche in cui infilare i messaggi d’amore, è di un candido bianco. Sul capo porta una «crestina», il fazzolettino tipico della cameriere, fermato da un nastro. Le scarpette nere semplici ma graziose hanno tacco basso e sulla fibbia c’è un fiocchetto azzurro. Colombina impersona il tipo comico della servetta graziosa. E’ seducente, astuta, vivacissima ed è l’immagine perfettamente speculare femminile di Arlecchino. Per questo è sempre l’Amorosa o la moglie di Arlecchino, assumendo il nome di Betta, Franceschina, Diamantina, Marinetta, Violetta, Corallina o anche Arlecchina. Nelle rappresentazioni è spesso oggetto di attenzioni da parte del padrone Pantalone, che provoca la gelosia in Arlecchino. Colombina è molto vanitosa e un po’ civettuola e ci tiene ad avere un aspetto sempre ordinato e attraente. Non ha peli sulla lingua e riesce a mettere a posto qualche corteggiatore che non si comporta più che educatamente. Anche il suo eterno fidanzato, Arlecchino, deve stare ben attento, se cerca di fare lo sdolcinato con qualche altra sua collega, perché lei sa come farlo rigare dritto.
Il suo modo di fare, così vivace e malizioso, nasconde un carattere volitivo e una naturale furbizia che fanno di Colombina un personaggio simpaticamente sbarazzino, molto amato dal pubblico. Colombina, naturalmente bugiarda, usa sempre la menzogna a fin di bene per coprire gli amori della sua padrona, continuamente ostacolata da un padre burbero e severo. Maestra nel nascondere un biglietto d’amore sotto il grembiule o nel petto, mostra la sua più grande abilità ogni qualvolta deve consegnare queste missive nelle mani della padrona senza che se ne accorga un amoroso non gradito od il genitore sospettoso. È una donna intelligente che si rende conto di vivere in una società fatta a misura di uomo dove, per sopravvivere, deve usare furbizia e sensibilità. Forse è anche per questo che ci risulta così simpatica.
Alunna: Esposito Denise II B
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Gianduja
Gianduja è una maschera popolare torinese, di origini astigiane. Il suo nome deriva dalla locuzione Gioann dla doja, ovvero Giovanni
del boccale. Gianduia è la maschera del Piemonte e nella tradizione carnevalesca si affianca a quelle di altre città,
come Balanzone per Bologna, Pantalone per Venezia o Pulcinella per Napoli. È nato sul finire del 1700 dalla fantasia di due burattinai, Bellone di Oja, frazione di Racconigi, e del torinese Sales. Molti sono stati i personaggi che hanno
indossato i panni di Gianduja nel periodo di carnevale simulando nella
quotidianità la tradizione folcloristica. Allegro e godereccio, incarna lo stereotipo piemontese del
"galantuomo" coraggioso, assennato, incline al bene e fedele alla sua
inseparabile compagna Giacometta, che lo affianca nei balli ricchi di coreografia, ma soprattutto nelle
opere di carità e di partecipazione. Nella settimana che precede l'inizio della
Quaresima, Gianduja visita ospizi, ricoveri, ospedali per bambini, distribuendo le tipiche caramelle rotonde e piatte, avvolte in un cartoccio esagonale, con impresso il
suo profilo mai disgiunto dal tricorno delle armate piemontesi ottocentesche
alle quali si deve l'Unità del Paese. Durante il Carnevale del 1865, a Torino, la
maschera di questo noto personaggio, assegnò per le strade della città una
leccornia fatta di caco, burro di caco, zucchero e crema di nocciola delle
Langhe: il gianduiotto! Il cioccolatino, ancora oggi delizia per il nostro
palato, prende il suo nome proprio da questa maschera.
Alunna: Pizza Alessandra
II B
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Meneghino
Meneghino
è un personaggio del teatro milanese, diventato poi maschera. È uno dei simboli
più famosi della città di Milano. I milanesi sono anche conosciuti come
meneghini. Contrariamente alle altre maschere della commedia dell’arte, nate da
caratterizzazioni dovute a singoli attori, il personaggio di meneghino si formò
alla fine del 17esimo secolo all’interno di commedie scritte da Carlo Maria
Maggi. Meneghino è un servitore
ammogliato, carico di figli, affezionatissimo ai suoi padroni. Sul teatro
Meneghino è lo zimbello di tutti gli intrighi. Il costume attuale di Meneghino
è simile a quello della maschera piemontese Gianduja. Indossa una giacca verde scuro, con fodera e bottoni rossi; un panciotto a fiori, anch’esso orlato in rosso; i calzoni: corti e scuri e le scarpe basse, nere con fibbia.
Non porta una maschera. Ha un parrucchino scuro
con codino e il cappello nero di feltro, orlato di rosso, a tre punte. Altra
versione, meno nota , comprende una veste di tessuto bianco a maglia, lunghe
calze verdi, una cintura e scarponi di cuoio. Nel Carnevale Ambrosiano è
accompagnato dalla moglie Cecca, altra maschera popolare Milanese. Attualmente
è conosciuto anche il dolce Meneghino, un panettone farcito, conosciuto è
sviluppato sempre nella tradizione milanese.
Alunno: Antonio Scialdone II B______________________________________________________________________________
Pulcinella
Tante sono le ipotesi e
le leggende legate all'origine del nome Pulcinella. Forse la più simpatica e
romantica è quella secondo la quale Pulcinella non sia altro che la corruzione
francese di Puccio D'Aniello contadino acerrano vissuto intorno al XVI secolo.
Con sicurezza può dirsi solo che Pulcinella fece la sua trionfale comparsa
sulle scene negli ultimi anni del 500.Possiamo riconoscere pulcinella da una
grande gobba e la maschera con un enorme naso che gli faceva avere una voce stridula.
Alunna:
Martiniello Sharon II B
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Stenterello
Sempre rappresentata e descritta in modo
parziale, Stenterello è una delle maschere italiane più importanti.
E’ la maschera della tradizione fiorentina, nata ispirandosi ai comportamenti
di vita popolare del fine XVIII secolo. Stenterello è un personaggio semplice,
non è ricco e vive con poco. E’ un personaggio popolare e rappresenta la
caratteristica “figura” fiorentina dell’Ottocento, con un bel nasone, ossuto,
striminzito, patito, che sembra cresciuto a stento, senza mangiare, con poche
cose. Non tanto alto, bianco pallido, colorito dato anche dalla non agiata
condizione economica, deve il suo nome proprio alla sua disagiata posizione
sociale e di salute. Da “stento”, cioè mancante del necessario, con patimento,
pena, con fatica. Si dice anche per il termine “Stentato”, cioè di persona mal
cresciuta. Il ritratto della fame, insomma!
Stenterello è proprio un fiorentino vero, chiacchierone, polemico, che parla il linguaggio del popolo, dicendo cose importanti con un linguaggio folcloristico, inserendo nella conversazione modi di dire spiritosi e divertenti. Dimostra di essere un soggetto pauroso ed impulsivo, predilige i più deboli prendendone la parte.
Propone saggezza ed ingegno, giudizio e sottigliezza di mente, lo fa in modo un po’ impacciato, trema di fronte alle difficoltà e diventa divertente e comico in questo contrasto di atteggiamenti e di comportamenti. Personaggio con la risposta sempre pronta, esprime battute pungenti e lo fa in vernacolo fiorentino, non è mai volgare. Il suo abbigliamento è lo specchio del suo carattere: una calza di un colore, l’altra di un altro, la giacca blu con risvolti a scacchi rossi e neri, i pantaloni corti e stretti al ginocchio, il panciotto a pallini. Indossa un cappello a barchetta e una parrucca con il codino.
Stenterello è proprio un fiorentino vero, chiacchierone, polemico, che parla il linguaggio del popolo, dicendo cose importanti con un linguaggio folcloristico, inserendo nella conversazione modi di dire spiritosi e divertenti. Dimostra di essere un soggetto pauroso ed impulsivo, predilige i più deboli prendendone la parte.
Propone saggezza ed ingegno, giudizio e sottigliezza di mente, lo fa in modo un po’ impacciato, trema di fronte alle difficoltà e diventa divertente e comico in questo contrasto di atteggiamenti e di comportamenti. Personaggio con la risposta sempre pronta, esprime battute pungenti e lo fa in vernacolo fiorentino, non è mai volgare. Il suo abbigliamento è lo specchio del suo carattere: una calza di un colore, l’altra di un altro, la giacca blu con risvolti a scacchi rossi e neri, i pantaloni corti e stretti al ginocchio, il panciotto a pallini. Indossa un cappello a barchetta e una parrucca con il codino.
Curiosità
A dare il nome a questa maschera fu il pubblico
toscano, come colui “che pare
cresciuto a stento”.
Ideata dall’attore fiorentino Luigi Del Buono nel 1700, la maschera viene ricordata da una targa, che ancora oggi possiamo trovare a Firenze al Borgo Ognissanti n. 4, dove si legge: “In questo palazzo ebbe sede dal 1778 il Teatro Borgo ogni santi dove Luigi Del Buono (1751 – 1832) creò la maschera di Stenterello, popolare personaggio fiorentino burlone, canzonato ed arguto rimasto nella memoria cittadina”.
Ideata dall’attore fiorentino Luigi Del Buono nel 1700, la maschera viene ricordata da una targa, che ancora oggi possiamo trovare a Firenze al Borgo Ognissanti n. 4, dove si legge: “In questo palazzo ebbe sede dal 1778 il Teatro Borgo ogni santi dove Luigi Del Buono (1751 – 1832) creò la maschera di Stenterello, popolare personaggio fiorentino burlone, canzonato ed arguto rimasto nella memoria cittadina”.
Alunna: D’Aloia Anna II B
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Zanni
Lo Zanni era un personaggio del
teatro comico dell'antica Roma, in seguito divenuto maschera della Commedia
dell’arte. Nella Grecia antica Sannos indicava una persona stolta o ridicola;
il termine entrò nella cultura teatrale romana, tanto che venne citato anche da
Cicerone. Il nome di Zanni, come Zuan, è una versione veneta del nome Gianni, un
nome molto diffuso nel contado veneto-lombardo da dove venivano la maggior
parte dei servitori dei nobili e dei ricchi mercanti veneziani. Per questa
ragione lo Zanni, divenuto un personaggio fra i più antichi della Commedia
dell’Arte, venne facilmente identificato con costoro. Questa maschera ebbe
anche un'eco europea visto che in Germania si trasformò nel personaggio
di Hans Wurst, cioè la
traduzione di uno dei tanti appellativi della maschera italiana, quella
di Zan Salsiccia. In
Inghilterra, ha dato origine al termine zany che, come aggettivo, ha il significato di
"spregiudicato e stravagante, ma in modo divertente", mentre, come
sostantivo, serviva a indicare, in passato, un pagliaccio che si produceva in
imitazioni buffe delle azioni di un altro clown al quale fungeva da spalla
comica. Ha un costume a falde larghe color beretino (cioè una sorta di
canapa non trattata, quindi di un colore beige, tendente al giallo o al
grigio), l'abito normalmente indossato dai contadini durante il lavoro nei
campi, un cappello particolare largo intorno alla testa ma soprattutto con una
visiera lunga, un po' come quello dei goliardi universitari di qualche decennio
fa. La sua maschera è rappresentata di cuoio bianco. Zanni è fortemente legato
alla terra, alla vita rurale, simbolo per eccellenza del carattere grezzo e
volgare del contadino. Egli più che un uomo assomiglia ad un animale per i suoi
modi di fare, dato che i suoi motori istintivi principali sono il sesso e la
fame. Esistono due tipi in particolare di Zanni: quello astuto e veloce e
quello sciocco e lento. Il primo nelle storie è solito giocare brutti tiri al
padrone e ai suoi interlocutori, a meno che non siano donne o peggio serve con
le quali la maschera tenta subito di accoppiarsi senza tanti preamboli. Oltre
ad essere veloce e agile, questo Zanni è anche molto aggressivo e con la
parlantina sciolta, ed è facile all'ira e a diventare subito violento e
manesco, anche con le donne. La sua maschera di solito è caratterizzata da un
naso ricurvo e appuntito, simile a quella di un gallinaccio.
Lo
Zanni lento rappresenta l'esatto contrario di un servitore astuto e agile; egli
appare completamente ignorante e quasi incapace di formulare un concetto,
dimostrando la sua tardezza anche nel movimento lemme e curvo verso il basso.
Ciononostante egli appare sempre spassoso e divertente al pubblico e agli
interlocutori perché è in grado di generare equivoci col padrone e addirittura
cercare di elevarsi al di sopra della sua figura, venendo però subito ammonito
dall'interlocutore. Le sue caratteristiche principali sono lamentarsi in
continuazione della sua situazione e delle varie circostanze e in particolare
essere affamato e supplicante come un barbone.
La sua maschera è caratterizzata da un naso aquilino e ricurvo.
La sua maschera è caratterizzata da un naso aquilino e ricurvo.
Alunno:
Camerino Antonio II B
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Pulcinella
La maschera
di Pulcinella, come la conosciamo oggi, è stata
inventata ufficialmente a Napoli dall'attore Silvio Fiorillo nei
primi decenni del Seicento, ma il suo costume moderno fu inventato nell’Ottocento
da Antonio Petito. Infatti, in origine, la maschera di Fiorillo indossava un
cappello bicorno e portava barba e baffi. Le origini di Pulcinella sono però
molto più antiche. Le ipotesi sono varie: c'è chi lo fa discendere da
“Pulcinello” un piccolo pulcino perché ha il naso adunco; c'è chi sostiene che
un contadino di Acerra, Puccio d'Aniello, nel '600 si unì come buffone ad
una compagnia di girovaghi di passaggio nel suo paese. Altri ancora sostengono
che Pulcinella discende da Atellan, personaggio
delle Atellane romane. Maccus rappresentava una tipologia di servo dal naso
lungo e dalla faccia bitorzoluta con guance grosse, con ventre prominente, che
indossava una camicia trasformata in una veste larga e bianca.
Altri fanno
risalire la maschera ad un altro personaggio delle Fabulae Atellanae: Kikirrus, una maschera teriomorfa il cui stesso
nome, infatti, richiama il verso del gallo. Quest'ultima maschera
ricorda più da vicino la maschera di Pulcinella.
Servo sciocco e insensato, non manca spesso
di arguzia e buon senso popolare. In lui si mescolano un'intensa vitalità ed
un'indole inquieta, triste e sempre pronta a stupirsi delle cose del mondo.
Pulcinella è pigro, ironico,
opportunista, sfrontato e chiacchierone. Ha un’insaziabile voracità ed è sempre
alla ricerca di cibo. Per un piatto di maccheroni è disposto a tutto: rubare,
mentire, imbrogliare e prendere bastonare. Di poche parole, è un po’ goffo, ma
sempre in movimento, alla ricerca di espedienti per sfuggire alla prevaricazione
e all’avarizia di ricchi e potenti. Il colore del suo costume – pantaloni e
ampia camicia – è bianco, con una maschera nera con naso lungo e adunco e un
cappello bianco di stoffa bianca.
Curiosità
L’espressione “il segreto di Pulcinella”
che indica un segreto che non è più tale, si riferisce ad una caratteristica di
questa maschera: non riesce mai a tacere e a tenere un segreto a lungo.
Alunno: Capolongo Rino
Daniele II B
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Pierrot
Il
nome Pierrot è un francesismo che deriva dal personaggio italiano della Commedia
dell’arte, uno dei primi Zanni, Pedrolino, interpetrato nella celebre compagnia
dei gelosi da Giovanni Pellesini alla fine del ‘500. Il personaggio fu portato
in Francia, dove entrò a far parte delle compagnie francesi con il nome di
Pierrot grazie all’apporto di Giuseppe Geratoni che per primo lo introdusse nel
1763 ma il primo grande Pierrot fu ancora un italiano, Fabio Antonio Sticcotti.
In seguito il personaggio fu perfezionato dal figlio Antonio Jean Sticcotti che
lo esportò anche in Germania. Gli Sticcotti diedero nuova vita a questo
personaggio adattandolo al gusto dei francesi e poi del pubblico delle proprie
dello Zanni per diventare il mimo malinconico innamorato della luna quello che
compare con il nome di Gilles nel celebre quando di Antonie Vatteau.
Pierrot
Perârot
est un masque italien mais dait son nom et son succès à la France son nom
d’origineest Pedrolino. Conduit dans les thèâtres dans la seconde moitiè du
XVII S. Pierrot perd les trois d’un
serviteur astucieux pour devenir un mime mèlancolique et amoreux de la lune.
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Scaramuccia
Scaramuccia è una maschera della Commedia
dell’arte, appartenente alla serie dei capitani. Fanfarone e vanaglorioso,
vestito di nero secondo l’uniforme degli spagnoli di stanza a Napoli con il nome
di Scaramuzza, assumendo la forma Scaramuccia nel Settecento. La maschera
divenne celebre per merito dell’attore Tiberio Fiorillo che, verso il 1640, lo
rappresentò in Francia, dove incontrò grande fortuna e si chiamò Scaramouche.
Qui il personaggio modificò il primitivo carattere: preferì la chitarra alla
spada, ebbe una nuova arguzia e una psicologia più complessa. La maschera, che
fu presa a modello da giovane Moliere, restò legata all’interpretazione del
Fiorilli tanto che, malgrado vari attori abbiano tentato di riassumerla, può dirsi
scomparsa con lui.
Scarmouche
Scaramuccia et un masque de la commedia dell’arte,
dèrivès du capitaine; fanfarone et vontadard, vetus de noir selon l’uniform des
espagnols en poste à Naples. En vèritè, conpendat, la masque est né a Naples
avec le nom de Scaramuzza, prenant, la forme de Scaramuzza est devenu cèlèebre
grace à l’acter Tiberio Fiorilli qui, vers 1640, il le reprèsente en France, où
il recontre une fortune est s appelle Scaramouche. Ice, le personagge a changè
le personnage primitif: il prèfèrait la guitar l èpèe, il vait un nouvle et une
psycholagie plus complexe. Les masque,qui ètè pris pour modèle par le jeune
Molier, est restè tellement liè à l’interpretation de Fiorilli que, meme si
divers acteurs ont tentè de l exhumer, on peut dire qu il a dispour avec lui.
Alunna: Perna Laura II B
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Flaminia
Flaminia è uno dei molti nomi che nella Commedia dell'arte prende il
personaggio dell'Innamorata. In perenne contrasto con i vecchi, che ne
ostacolano i desideri d'amore, le Innamorate sono di solito molto più
determinate dei loro colleghi uomini, sia nel cercare che nel rifiutare l'amore
degli uomini. Intraprendenti e battaglieri, sono pronte a qualsiasi impresa per
conquistare l'oggetto dei propri desideri, anche a travestirsi da uomo. Abili
nel parlare, capaci di assumere diversi ruoli, le attrici che impersonavano le
Innamorate erano richieste doti di bellezza, eleganza, qualità artistiche e una
certa cultura. Fra le interpreti ricordate dalla storia della Commedia
dell'Arte Isabella Andreini (1562-1604), Virginia Andreini Ramponi (1583-1630),
e la loro contemporanea, nonchè rivale, Vittoria Piissimi.
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