sabato 9 febbraio 2019

LE MASCHERE DELLA TRADIZIONE


Arlecchino


Arlecchino è una maschera bergamasca della Commedia dell'Arte. Le origini del nome sono incerte e su di essa sono state formulate varie ipotesi. Tra i possibili punti di riferimento vi sono gli Herlequins o Hellequins, diavoli-buffoni del teatro medievale francese o addirittura anche il diavolo dantesco Alichino. L'introduzione in Italia del personaggio pare sia dovuta ad Alberto Naselli, noto come Zan Ganassa, il quale lavorando in Francia e in Spagna in qualità di Zanni (tipo di servo ridicolo) vi raccolse la tradizione del diavolo-buffone e la fuse con la tradizione italiana dell'uomo selvatico. Il personaggio di Arlecchino è quello del servo sciocco, linguacciuto, imbroglione che ha sempre fame. In mano ha un bastone di legno, il “batocio” che un tempo veniva utilizzato per girare la polenta e per condurre le mandrie al pascolo, che gli serve per darle e prenderle nelle liti in cui si imbatte. È una maschera brillante e simpatica, si esprime con una voce stridula e canticchia invece di parlare. La sua è una parlata veneta, non priva di influenze del contado bergamasco, ricca di giochi mimici e acrobatici e con movenze quasi da balletto. Caratterizzano esteriormente la sua figura l'abito a toppe multicolori, la maschera di cuoio dall'espressione ghignante e la spatola. Tutti questi elementi hanno concorso a fare di Arlecchino la più popolare e durevole delle maschere, ispiratrice, dopo la grande fioritura della Commedia dell'Arte, di scrittori come Goldoni (Arlecchino servitore di due padroni, ecc.) e Marivaux. La tradizione interpretativa del personaggio di Arlecchino si illustra, lungo i sec. XVII e XVIII, dei nomi di Tristano Martinelli e Domenico Biancolelli, Angelo Costantini ed Evaristo Gherardi, Carlo Bertinazzi e Antonio Sacco. Se il contatto con la civiltà francese spinse il Biancolelli a rendere più aggraziata la stilizzazione del personaggio, il Gherardi mirò invece a fare di Arlecchino il portavoce delle preoccupazioni sociali che si andavano diffondendo. La tradizione arlecchinesca è stata prolungata fino al sec. XX da attori come l'esemplare Marcello Moretti, che fu attivo al Piccolo Teatro di Milano (del suo Arlecchino rimane testimonianza filmata). Ispiratore anche di poeti e musicisti, Arlecchino, quale maschera per eccellenza, ha stimolato la fantasia di grandi pittori, da Watteau a Picasso e Severini.

Curiosità
Un tempo il costume di Arlecchino era completamente bianco, come quello di Pulcinella. Poi a furia di rattoppi – Arlecchino è così povero da non avere stoffe di ugual colore – si trasforma nel variopinto costume che tutti oggi noi conosciamo, dai colori vivaci e brillanti.
Alunni:  Corrado Giovanni, D’Auria Vincenzo, De Luca Antonio II B
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Pantalóne

Maschera veneziana fra le più antiche della Commedia dell'Arte, testimoniata fin dalla metà del Cinquecento. Il cognome esprime uno dei lati del carattere della maschera: la dipendenza dal danaro, che si manifesta sotto forma di avarizia o più raramente di prodigalità, di ricchezza, o, a volte, di povertà. Inoltre il vecchio mercante Pantalone è pedante e conservatore, dispotico, ancora pieno di sterili slanci amorosi: è soprattutto un vecchio cadente che vuole simulare la gioventù. La sua comicità deriva proprio dal contrasto fra l'età avanzata e gli inesprimibili aneliti giovanili.  Il denaro e le ricchezze sono le sue uniche preoccupazioni, che lo rendono sospettoso nei confronti di tutto e di tutti. Come tutti gli avari piange sempre miseria e fa patire la fame ai suoi servi. Non esita ad intromettersi in dispute e litigi che non lo riguardano, sputa sentenze per far sfoggio della sua autorevolezza e finisce puntualmente con l’avere la peggio. Alcune volte è rappresentato scapolo, altre con moglie e figlia, la bella Rosaura, al cui servizio c’è la scaltra servetta Colombina. Indossa calzamaglia e blusa rosse, con un mantello scuro e una maschera nera dal naso adunco, tutt’uno con il cappellino floscio e rosso. Un corto spadino e la borsa contenente i denari (la “scarsela”) completano il suo abbigliamento. Sulle origini del suo nome si avanzano diverse ipotesi: potrebbe derivare da San Pantaleone, il Santo Patrono di Venezia, oppure da “pianta-leone”, che era l’atto con cui i soldati e i ricchi mercanti veneti “piantavano” lo stendardo della Serenissima in ogni territorio conquistato. Con il Goldoni la figura di Pantalone si umanizza, gli eccessi del carattere sono attenuati e spesso il suo danaro può rimediare alle intemperanze dei giovani.Il primo Pantalone fu Giulio Pasquati (sec. XVI-XVII), cui seguirono, in Italia e in Francia, altri importanti interpreti, fra cui Ricci, Braga (sec. XVII), D'Arbes (sec. XVIII) e, in tempi moderni, Cesco Baseggio.

Curiosità
Sembra che i pantaloni, che indossiamo attualmente, si chiamino così dal nome di questa maschera.
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Brighella


Brighella è una maschera popolare bergamasca della Commedia dell'arte. Deve il suo nome al suo carattere attaccabrighe, insolente e dispettoso. È il migliore amico di Arlecchino: entrambi sono i servi della Commedia dell'arte ed entrambi sono nati a Bergamo. Al contrario dell'amico, tuttavia, Brighella non fa solo il servo ma un'infinità di altri mestieri più o meno leciti, per cui si ritrova sempre in mezzo a svariati intrighi. Viene raffigurato con giacca e pantaloni decorati con galloni verdi; ha inoltre scarpe verdi con pon pon neri. Il mantello è bianco con due strisce verdi mentre la maschera e il cappello sono neri. La più antica notizia storica della maschera è il testamento di Sivello del 1601, che assegnò questo nome ad un villano bergamasco. Intorno alla metà del XVII secolo la fama di Brighella fu documentata anche in Francia; nello stesso periodo venne messa a punto la tenuta di Brighella, parodiante quella di un maggiordomo, mentre il suo carattere venne definito in modo chiaro da Carlo Goldoni. Con la diffusione del nome anche il ruolo della maschera si espanse fino ad assumere parti di protagonista. Oltre alle definizioni impartite da Goldoni, si ricordano le antologie di atti scherzosi e buffi brighelleschi ideati da Atanasio Zannoni alla fine del Settecento.
                                                                                                         Alunno: Giuliano Donato II B
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Capitan Spaventa


Capitan Spaventa di Vall'Inferna  è la maschera ligure della Commedia dell'arte creata dall'attore Francesco Andreini (1548-1624). Arroganza, smargiasseria e goffaggine lo rendono un personaggio molto buffo, le sue caratteristiche volevano ironizzare sugli ufficiali militari di quel tempo. Sebbene vanti tantissime avventure in battaglia, è molto più temerario con la lingua che con la spada. Capitan Spaventa rappresenta la caricatura del soldato di ventura, fifone, sbruffone e spaccone. Vuole a tutti i costi averla vinta e fare fortuna, ma alla fine viene deriso e conclude ogni sua avventura a suon di botte. Racconta storie incredibili, a cui crede solo lui, e nei fatti finisce per scontrasi con la sua stessa natura di vigliacco. Ha un aspetto piacevole, baffoni e pizzetto e i colori del suo costume sono il giallo e il rosso-arancio (qualche volta a righe). In testa calza un grande cappello piumato. Sua compagna fedele è una pesante e grossa spada che trascina rumorosamente e in modo impacciato, che tuttavia utilizza poco: combatte di più con la lingua.
Alunno: Ferrante Aniello II B

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BALANZONE


Balanzone, conosciuto anche con il nome di dottor Balanzone, è  una maschera di origine bolognese. Appartiene alla schiera dei "vecchi" della Commedia dell’arte, talvolta è chiamato dottor Graziano o semplicemente il Dottore. Nativo dell'Emilia Romagna, e precisamente di Bologna, dove ha compiuto gli studi, è il classico personaggio "serio", saccente e presuntuoso che si lascia andare spesso a verbosi discorsi infarciti di citazioni colte in latino maccheronico. Si tratta di un dottore in Legge, e non di un medico, come molti erroneamente credono: egli è infatti la caricatura del dotto pieno di sé, avvocato poco abile, sempre pronto a sfoggiare la sua erudizione citando cervellotici cavilli legali. Il suo stesso nome lo dimostra, infatti Balanzone è la storpiatura dialettale di bilancione, bilancia, ossia l'ovvio simbolo della Legge Uomo dalle guance di colorito sano, veste sempre di nero ed ha una grossa pancia; è solito gesticolare molto, ma i suoi gesti sono sempre pacchianamente autorevoli ed eloquenti. Calza una piccola maschera che ricopre solo le sopracciglia e il naso, appoggiandosi su due grandi baffi. Indossa l'abito dei Professori dell'Università di Bologna: toga nera, colletto e polsini bianchi, gran cappello, giubba e mantello. Pedante, cavilloso, prodigo di inutili insegnamenti e di consigli inappropriati, è sempre pronto a trovare ogni minima scusa per iniziare uno dei suoi infiniti sproloqui "dotti" a suon di parole storpiate e discorsi ampollosi ma senza senso. Sempre pronto a vantarsi dei suoi titoli, dice di conoscere ogni campo della scienza umana: diritto e legge prima di tutto, ma anche storia, astrologia, filosofia; di questi argomenti parla in maniera noiosa e prolissa, mescolandoli in un groviglio inestricabile. Gode di molta stima tra le altre maschere che spesso si rivolgono a lui per un parere legale: egli non nega il suo aiuto ma sempre coglie l'occasione per fare la cosa che più gli piace: parlare ed elargire pareri di nessun valore.
Alunna: Mascolo Tonia II B
 

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 Colombina



Direttamente dalla tradizione veneziana nasce la maschera di Colombina, unico personaggio femminile ad imporsi in mezzo a tanti personaggi maschili.
Briosa e furba servetta, vivace, graziosa, bugiarda ed è di Venezia.  E’ molto affezionata alla sua signora, altrettanto giovane e graziosa, Rosaura, e pur di renderla felice è disposta a combinare imbrogli su imbrogli.  Con i padroni vecchi e brontoloni va poco d’ accordo e schiaffeggia senza misericordia chi osa importunarla mancandole di rispetto.
Colombina è una maschera molto antica, la sua figura era già menzionata nel 1530 nei testi degli Accademici Intronati di Siena. La maschera di Colombina si trova già nelle commedie di Plauto, fra le furbe ancelle, ciniche e adulatrici, sempre pronte a suggerire alla padrona malizie e astuzie. Da antica schiava Colombina nel ‘500 diventa la Servetta complice interessata nei sotterfugi domestici e amorosi della padrona.
Il costume di Colombina si presenta con innumerevoli varianti: abitualmente non porta la maschera e indossa un corpetto aderente e un’ampia gonna a balze blu. La sua giacca rossa è orlata da una passamaneria dello stesso colore della gonna e il suo grembiulino, provvisto di tasche in cui infilare i messaggi d’amore, è di un candido bianco. Sul capo porta una «crestina», il fazzolettino tipico della cameriere, fermato da un nastro. Le scarpette nere semplici ma graziose hanno tacco basso e sulla fibbia c’è un fiocchetto azzurro. Colombina impersona il tipo comico della servetta graziosa. E’ seducente, astuta, vivacissima ed è l’immagine perfettamente speculare femminile di Arlecchino. Per questo è sempre l’Amorosa o la moglie di Arlecchino, assumendo il nome di Betta, Franceschina, Diamantina, Marinetta, Violetta, Corallina o anche Arlecchina. Nelle rappresentazioni è spesso oggetto di attenzioni da parte del padrone Pantalone, che  provoca la gelosia in Arlecchino. Colombina è molto vanitosa e un po’ civettuola e ci tiene ad avere un aspetto sempre ordinato e attraente. Non ha peli sulla lingua e riesce a mettere a posto qualche corteggiatore che non si comporta più che educatamente. Anche il suo eterno fidanzato, Arlecchino, deve stare ben attento, se cerca di fare lo sdolcinato con qualche altra sua collega, perché lei sa come farlo rigare dritto.
Il suo modo di fare, così vivace e malizioso, nasconde un carattere volitivo e una naturale furbizia che fanno di Colombina un personaggio simpaticamente sbarazzino, molto amato dal pubblico. Colombina, naturalmente bugiarda, usa sempre la menzogna a fin di bene per coprire gli amori della sua padrona, continuamente ostacolata da un padre burbero e severo. Maestra nel nascondere un biglietto d’amore sotto il grembiule o nel petto, mostra la sua più grande abilità ogni qualvolta deve consegnare queste missive nelle mani della padrona senza che se ne accorga un amoroso non gradito od il genitore sospettoso. È una donna intelligente che si rende conto di vivere in una società fatta a misura di uomo dove, per sopravvivere, deve usare furbizia e sensibilità. Forse è anche per questo che ci risulta così simpatica.
Alunna: Esposito Denise II B


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 Gianduja



Gianduja è una maschera popolare torinese, di origini astigiane. Il suo nome deriva dalla locuzione Gioann dla doja, ovvero Giovanni del boccale. Gianduia è la maschera del Piemonte e nella tradizione carnevalesca si affianca a quelle di altre città, come Balanzone per Bologna, Pantalone per Venezia o Pulcinella per Napoli. È nato sul finire del 1700 dalla fantasia di due burattinai, Bellone di Oja, frazione di Racconigi, e del torinese Sales. Molti sono stati i personaggi che hanno indossato i panni di Gianduja nel periodo di carnevale simulando nella quotidianità la tradizione folcloristica. Allegro e godereccio, incarna lo stereotipo piemontese del "galantuomo" coraggioso, assennato, incline al bene e fedele alla sua inseparabile compagna Giacometta, che lo affianca nei balli ricchi di coreografia, ma soprattutto nelle opere di carità e di partecipazione. Nella settimana che precede l'inizio della Quaresima, Gianduja visita ospizi, ricoveri, ospedali per bambini, distribuendo le tipiche caramelle rotonde e piatte, avvolte in un cartoccio esagonale, con impresso il suo profilo mai disgiunto dal tricorno delle armate piemontesi ottocentesche alle quali si deve l'Unità del Paese. Durante il Carnevale del 1865, a Torino, la maschera di questo noto personaggio, assegnò per le strade della città una leccornia fatta di caco, burro di caco, zucchero e crema di nocciola delle Langhe: il gianduiotto! Il cioccolatino, ancora oggi delizia per il nostro palato, prende il suo nome proprio da questa maschera.
Alunna: Pizza Alessandra II B

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Meneghino


Meneghino è un personaggio del teatro milanese, diventato poi maschera. È uno dei simboli più famosi della città di Milano. I milanesi sono anche conosciuti come meneghini. Contrariamente alle altre maschere della commedia dell’arte, nate da caratterizzazioni dovute a singoli attori, il personaggio di meneghino si formò alla fine del 17esimo secolo all’interno di commedie scritte da Carlo Maria Maggi.  Meneghino è un servitore ammogliato, carico di figli, affezionatissimo ai suoi padroni. Sul teatro Meneghino è lo zimbello di tutti gli intrighi. Il costume attuale di Meneghino è simile a quello della maschera piemontese Gianduja. Indossa una giacca verde scuro, con fodera e bottoni rossi; un panciotto a fiori, anch’esso orlato in rosso; i calzoni: corti e scuri e le scarpe basse, nere con fibbia.
Non porta una maschera. Ha un parrucchino scuro con codino e il cappello nero di feltro, orlato di rosso, a tre punte. Altra versione, meno nota , comprende una veste di tessuto bianco a maglia, lunghe calze verdi, una cintura e scarponi di cuoio. Nel Carnevale Ambrosiano è accompagnato dalla moglie Cecca, altra maschera popolare Milanese. Attualmente è conosciuto anche il dolce Meneghino, un panettone farcito, conosciuto è sviluppato sempre nella tradizione milanese. 
                                                       Alunno: Antonio Scialdone II B

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Pulcinella


Tante sono le ipotesi e le leggende legate all'origine del nome Pulcinella. Forse la più simpatica e romantica è quella secondo la quale Pulcinella non sia altro che la corruzione francese di Puccio D'Aniello contadino acerrano vissuto intorno al XVI secolo. Con sicurezza può dirsi solo che Pulcinella fece la sua trionfale comparsa sulle scene negli ultimi anni del 500.Possiamo riconoscere pulcinella da una grande gobba e la maschera con un enorme naso che gli faceva avere una voce stridula.
Alunna: Martiniello Sharon II B

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Stenterello



Sempre rappresentata e descritta in modo parziale, Stenterello è una delle maschere italiane più importanti. E’ la maschera della tradizione fiorentina, nata ispirandosi ai comportamenti di vita popolare del fine XVIII secolo. Stenterello è un personaggio semplice, non è ricco e vive con poco. E’ un personaggio popolare e rappresenta la caratteristica “figura” fiorentina dell’Ottocento, con un bel nasone, ossuto, striminzito, patito, che sembra cresciuto a stento, senza mangiare, con poche cose. Non tanto alto, bianco pallido, colorito dato anche dalla non agiata condizione economica, deve il suo nome proprio alla sua disagiata posizione sociale e di salute. Da “stento”, cioè mancante del necessario, con patimento, pena, con fatica. Si dice anche per il termine “Stentato”, cioè di persona mal cresciuta. Il ritratto della fame, insomma!
Stenterello è proprio un fiorentino vero, chiacchierone, polemico, che parla il linguaggio del popolo, dicendo cose importanti con un linguaggio folcloristico, inserendo nella conversazione modi di dire spiritosi e divertenti. Dimostra di essere un soggetto pauroso ed impulsivo, predilige i più deboli prendendone la parte.
Propone saggezza ed ingegno, giudizio e sottigliezza di mente, lo fa in modo un po’ impacciato, trema di fronte alle difficoltà e diventa divertente e comico in questo contrasto di atteggiamenti e di comportamenti. Personaggio con la risposta sempre pronta, esprime battute pungenti e lo fa in vernacolo fiorentino, non è mai volgare. 
Il suo abbigliamento è lo specchio del suo carattere: una calza di un colore, l’altra di un altro, la giacca blu con risvolti a scacchi rossi e neri, i pantaloni corti e stretti al ginocchio, il panciotto a pallini. Indossa un cappello a barchetta e una parrucca con il codino.
 Curiosità
A dare il nome a questa maschera fu il pubblico toscano, come colui “che pare cresciuto a stento”.
Ideata dall’attore fiorentino Luigi Del Buono nel 1700, la maschera viene ricordata da una targa, che ancora oggi possiamo trovare a Firenze al Borgo Ognissanti n. 4, dove si legge: “In questo palazzo ebbe sede dal 1778 il Teatro Borgo ogni santi dove Luigi Del Buono (1751 – 1832) creò la maschera di Stenterello, popolare personaggio fiorentino burlone, canzonato ed arguto rimasto nella memoria cittadina”
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Alunna: D’Aloia Anna II B


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  Zanni




Lo Zanni era un personaggio del teatro comico dell'antica Roma, in seguito divenuto maschera della Commedia dell’arte. Nella Grecia antica Sannos indicava una persona stolta o ridicola; il termine entrò nella cultura teatrale romana, tanto che venne citato anche da Cicerone. Il nome di Zanni, come Zuan, è una versione veneta del nome Gianni, un nome molto diffuso nel contado veneto-lombardo da dove venivano la maggior parte dei servitori dei nobili e dei ricchi mercanti veneziani. Per questa ragione lo Zanni, divenuto un personaggio fra i più antichi della Commedia dell’Arte, venne facilmente identificato con costoro. Questa maschera ebbe anche un'eco europea visto che in Germania si trasformò nel personaggio di Hans Wurst, cioè la traduzione di uno dei tanti appellativi della maschera italiana, quella di Zan Salsiccia. In Inghilterra, ha dato origine al termine zany che, come aggettivo, ha il significato di "spregiudicato e stravagante, ma in modo divertente", mentre, come sostantivo, serviva a indicare, in passato, un pagliaccio che si produceva in imitazioni buffe delle azioni di un altro clown al quale fungeva da spalla comica. Ha un costume a falde larghe color beretino (cioè una sorta di canapa non trattata, quindi di un colore beige, tendente al giallo o al grigio), l'abito normalmente indossato dai contadini durante il lavoro nei campi, un cappello particolare largo intorno alla testa ma soprattutto con una visiera lunga, un po' come quello dei goliardi universitari di qualche decennio fa. La sua maschera è rappresentata di cuoio bianco. Zanni è fortemente legato alla terra, alla vita rurale, simbolo per eccellenza del carattere grezzo e volgare del contadino. Egli più che un uomo assomiglia ad un animale per i suoi modi di fare, dato che i suoi motori istintivi principali sono il sesso e la fame. Esistono due tipi in particolare di Zanni: quello astuto e veloce e quello sciocco e lento. Il primo nelle storie è solito giocare brutti tiri al padrone e ai suoi interlocutori, a meno che non siano donne o peggio serve con le quali la maschera tenta subito di accoppiarsi senza tanti preamboli. Oltre ad essere veloce e agile, questo Zanni è anche molto aggressivo e con la parlantina sciolta, ed è facile all'ira e a diventare subito violento e manesco, anche con le donne. La sua maschera di solito è caratterizzata da un naso ricurvo e appuntito, simile a quella di un gallinaccio.
Lo Zanni lento rappresenta l'esatto contrario di un servitore astuto e agile; egli appare completamente ignorante e quasi incapace di formulare un concetto, dimostrando la sua tardezza anche nel movimento lemme e curvo verso il basso. Ciononostante egli appare sempre spassoso e divertente al pubblico e agli interlocutori perché è in grado di generare equivoci col padrone e addirittura cercare di elevarsi al di sopra della sua figura, venendo però subito ammonito dall'interlocutore. Le sue caratteristiche principali sono lamentarsi in continuazione della sua situazione e delle varie circostanze e in particolare essere affamato e supplicante come un barbone.
La sua maschera è caratterizzata da un naso aquilino e ricurvo.
Alunno: Camerino Antonio II B
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Pulcinella
 
La maschera di Pulcinella, come la conosciamo oggi, è stata inventata ufficialmente a Napoli dall'attore Silvio Fiorillo nei primi decenni del Seicento, ma il suo costume moderno fu inventato nell’Ottocento da Antonio Petito. Infatti, in origine, la maschera di Fiorillo indossava un cappello bicorno e portava barba e baffi. Le origini di Pulcinella sono però molto più antiche. Le ipotesi sono varie: c'è chi lo fa discendere da “Pulcinello” un piccolo pulcino perché ha il naso adunco; c'è chi sostiene che un contadino di Acerra, Puccio d'Aniello, nel '600 si unì come buffone ad una compagnia di girovaghi di passaggio nel suo paese. Altri ancora sostengono che Pulcinella discende da Atellan, personaggio delle Atellane romane. Maccus rappresentava una tipologia di servo dal naso lungo e dalla faccia bitorzoluta con guance grosse, con ventre prominente, che indossava una camicia trasformata in una veste larga e bianca.

Altri fanno risalire la maschera ad un altro personaggio delle Fabulae Atellanae: Kikirrus, una maschera teriomorfa il cui stesso nome, infatti, richiama il verso del gallo. Quest'ultima maschera ricorda più da vicino la maschera di Pulcinella.

Servo sciocco e insensato, non manca spesso di arguzia e buon senso popolare. In lui si mescolano un'intensa vitalità ed un'indole inquieta, triste e sempre pronta a stupirsi delle cose del mondo. Pulcinella è pigro, ironico, opportunista, sfrontato e chiacchierone. Ha un’insaziabile voracità ed è sempre alla ricerca di cibo. Per un piatto di maccheroni è disposto a tutto: rubare, mentire, imbrogliare e prendere bastonare. Di poche parole, è un po’ goffo, ma sempre in movimento, alla ricerca di espedienti per sfuggire alla prevaricazione e all’avarizia di ricchi e potenti. Il colore del suo costume – pantaloni e ampia camicia – è bianco, con una maschera nera con naso lungo e adunco e un cappello bianco di stoffa bianca.

Curiosità

L’espressione “il segreto di Pulcinella” che indica un segreto che non è più tale, si riferisce ad una caratteristica di questa maschera: non riesce mai a tacere e a tenere un segreto a lungo.
Alunno: Capolongo Rino Daniele II B
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 Pierrot


Il nome Pierrot è un francesismo che deriva dal personaggio italiano della Commedia dell’arte, uno dei primi Zanni, Pedrolino, interpetrato nella celebre compagnia dei gelosi da Giovanni Pellesini alla fine del ‘500. Il personaggio fu portato in Francia, dove entrò a far parte delle compagnie francesi con il nome di Pierrot grazie all’apporto di Giuseppe Geratoni che per primo lo introdusse nel 1763 ma il primo grande Pierrot fu ancora un italiano, Fabio Antonio Sticcotti. In seguito il personaggio fu perfezionato dal figlio Antonio Jean Sticcotti che lo esportò anche in Germania. Gli Sticcotti diedero nuova vita a questo personaggio adattandolo al gusto dei francesi e poi del pubblico delle proprie dello Zanni per diventare il mimo malinconico innamorato della luna quello che compare con il nome di Gilles nel celebre quando di Antonie Vatteau.


Pierrot

Perârot est un masque italien mais dait son nom et son succès à la France son nom d’origineest Pedrolino. Conduit dans les thèâtres dans la seconde moitiè du XVII S. Pierrot  perd les trois d’un serviteur astucieux pour devenir un mime mèlancolique et amoreux de la lune.
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Scaramuccia


Scaramuccia è una maschera della Commedia dell’arte, appartenente alla serie dei capitani. Fanfarone e vanaglorioso, vestito di nero secondo l’uniforme degli spagnoli di stanza a Napoli con il nome di Scaramuzza, assumendo la forma Scaramuccia nel Settecento. La maschera divenne celebre per merito dell’attore Tiberio Fiorillo che, verso il 1640, lo rappresentò in Francia, dove incontrò grande fortuna e si chiamò Scaramouche. Qui il personaggio modificò il primitivo carattere: preferì la chitarra alla spada, ebbe una nuova arguzia e una psicologia più complessa. La maschera, che fu presa a modello da giovane Moliere, restò legata all’interpretazione del Fiorilli tanto che, malgrado vari attori abbiano tentato di riassumerla, può dirsi scomparsa con lui.

Scarmouche

Scaramuccia et un masque de la commedia dell’arte, dèrivès du capitaine; fanfarone et vontadard, vetus de noir selon l’uniform des espagnols en poste à Naples. En vèritè, conpendat, la masque est né a Naples avec le nom de Scaramuzza, prenant, la forme de Scaramuzza est devenu cèlèebre grace à l’acter Tiberio Fiorilli qui, vers 1640, il le reprèsente en France, où il recontre une fortune est s appelle Scaramouche. Ice, le personagge a changè le personnage primitif: il prèfèrait la guitar l èpèe, il vait un nouvle et une psycholagie plus complexe. Les masque,qui ètè pris pour modèle par le jeune Molier, est restè tellement liè à l’interpretation de Fiorilli que, meme si divers acteurs ont tentè de l exhumer, on peut dire qu il a dispour avec lui.
Alunna: Perna Laura II B
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Flaminia

Flaminia è uno dei molti nomi che nella Commedia dell'arte prende il personaggio dell'Innamorata. In perenne contrasto con i vecchi, che ne ostacolano i desideri d'amore, le Innamorate sono di solito molto più determinate dei loro colleghi uomini, sia nel cercare che nel rifiutare l'amore degli uomini. Intraprendenti e battaglieri, sono pronte a qualsiasi impresa per conquistare l'oggetto dei propri desideri, anche a travestirsi da uomo. Abili nel parlare, capaci di assumere diversi ruoli, le attrici che impersonavano le Innamorate erano richieste doti di bellezza, eleganza, qualità artistiche e una certa cultura. Fra le interpreti ricordate dalla storia della Commedia dell'Arte Isabella Andreini (1562-1604), Virginia Andreini Ramponi (1583-1630), e la loro contemporanea, nonchè rivale, Vittoria Piissimi.

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